martedì 22 luglio 2014

Camere di commercio: il governo offre 400 mln di risparmi, ma le Pmi ne perderanno 515

La riforma della Pa prevede il dimezzamento dei diritti camerali che le aziende pagano per iscriversi ai registri, con un sollievo di 400 milioni. Ma le piccole imprese rischiano la beffa di veder svanire i contributi che ricevono, superiori ai potenziali risparmi. I 12mila dipendenti scioperano: "I tagli uccideranno il sistema". Per la Cgia ci sarà un effetto recessivo da 2,5 miliardi


"Tagliare del 50% i diritti fissi che le aziende pagano alle Camere di commercio ucciderà il sistema". I quasi 12mila dipendenti e funzionari del mondo camerale italiano non smettono di ripeterlo e domani lo ribadiranno al governo con la manifestazione in programma a Roma. D'altra parte i conti sono presto fatti: su risorse annue da circa un miliardo di euro, 800 milioni arrivano sotto forma di contributi delle imprese italiane. Senza i 400 milioni che verrebbero tagliati dalla riforma della Pubblica amministrazione, mancherebbe il bugdet per il funzionamento delle Camere di Commercio. Il 46% dei ricavi serve, infatti, a pagare stipendi e a gestire gli uffici: per la Pubblica amministrazione nazionale il dato, invece, sale al 70%.

La scomparsa delle Camere di Commercio rischia di avere un impatto devastante sulle piccole e medie imprese che solo nel 2012 hanno ricevuto, in forma diretta o indiretta, 515 milioni di euro. Risorse che sono servite a finanziare l'internazionalizzazione, la presenza a fiere, ma soprattutto ad accedere al credito attraverso il sistema dei Confidi, che garantiscono 80 milioni di euro l'anno. Insomma per le Pmi c'è il rischio beffa: in cambio di un risparmio di 100 euro l'anno (i diritti fissi fino a 100 mila euro di fatturato ammontano a 200 euro, poi sono progressivi in base ai ricavi), potrebbero non avere più quelle garanzie economiche necessarie ad accedere a fondi nazionali ed internazionali. E per un gigante come Fiat, che versa la quota massima di 40mila euro l'anno, il risparmio
arriverebbe a 20mila euro: neppure il costo di una nuova assunzione.

E, in effetti, le rimostranze degli addetti alle Camere di Commercio non sono isolati. Se da una parte si mettono in dubbio i benefici della misura per le aziende e si lamentano gli impatti occupazionali, in seno allo stesso Parlamento si chiede una ulteriore verifica delle ricadute della manovra sui conti pubblici. I dubbi sono stati messi nero su bianco dai tecnici del Servizio bilancio della Camera, nel dossier che ha accompagnato il decreto sulla Pa. Si critica in particolare l'assunto della Relazione tecnica, nella quale si parla di un risparmio per il sistema delle imprese iscritte di 400 milioni (sulla base degli 800 milioni di tariffe versate nel 2012). Per i tecnici di governo questa sforbiciata "non comporta effetti negativi per la finanza pubblica", ma solo perché le minori entrate possono essere compensate riducendo le spese relative ai servizi e agli iniziative che venivano finanziate con i fondi versati dalle imprese registrate. Un cane che si morde la coda.

Anche per questo i tecnici della Camera chiedono qualche precisazione in più sull'assenza di impatti negativi per le finanze pubbliche, tenuto conto che le Camere di Commercio "rientrano nel perimetro delle amministrazioni pubbliche indicato dall'Istat". In particolare, notano che "l'effettiva possibilità di compensare" le minori entrate con "riduzioni di spesa" richiede che si verifichi l'esistenza di "spese riguardanti interventi non obbligatori o non vincolati giuridicamente, tali da poter essere ridotti o soppressi". Prima di procedere, dunque, bisognerebbe avere "un'indicazione circa la quota degli introiti provenienti dai diritti annali attualmente destinata a interventi" non obbligatori. Solo per esempio i tecnici ricordano che 70 milioni all'anno - tra il 2014 e il 2016 - devono essere per legge girati dal sistema camerale ai Confidi per il sostegno del credito alle Pmi.

C'è poi un tema occupazionale. Secondo Uniocamere sono a rischio 2.500 posti di lavoro, con un aggravio sulle casse dello Stato per 167 milioni di euro l'anno: 89 per il personale in esubero, 56 per i minori versamenti e 22 per gli oneri previdenziali che oggi sono a carico del sistema camerale siciliano. Con un effetto recessivo - calcolato dalla Cgia di Mestre - di circa 2,5 miliardi.

I funzionari delle Camere di Commercio non si danno pace. Rivendicano l'efficienza riconosciuta proprio dalle aziende che lavorano con loro e sottolineano i risparmi già messi in atto con una riduzione del personale del 12% rispetto al 2003 con un - 6% registrato dalla Pubblica amministrazione. Di più, lamentano: togliere la gestione del registro delle imprese alla Ccia per affidarla al ministero dello Sviluppo economico significa, con ogni probabilità, esternalizzare il servizio.
(22 luglio 2014)


lunedì 21 luglio 2014

«Non pago più i contributi all’Inps» La storia dell’ammalata Daniela

«Combatto da anni con il cancro che mi costringe a lavorare sempre meno. Io partita Iva senza sostegno mentre l’Inps continua a chiedermi i soldi per la pensione»

Dalla sua - dice - avrebbe persino la Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» (Art. 53). Contro di lei gioca invece un avviso di riscossione recapitatole dall’Inps che il 16 luglio le ha chiesto l’acconto contributivo per il 2014 a cui fa seguito il saldo (non pagato) per il 2013. L’assegno chiesto dallo Stato a Daniela Fregosi, partita Iva, consulente aziendale in ambito risorse umane e gestione del personale, è di 3.309 euro. Soldi che dovranno servire a garantirle in futuro una pensione. Peccato che - mai come stavolta - del futuro non v’è certezza, visto che Daniela ha una forma tumorale recidivante al seno (è in attesa di un’altra ecografia per la comparsa di uno strano nodulo) che si porta dietro come una convivente ingombrante da circa tre anni.
Lo sciopero contributivo
Così Daniela ha deciso di portare avanti una singolare protesta, lo «sciopero contributivo», che ha trovato una sponda convinta da parte di Acta, l’associazione dei consulenti del terziario, la più attiva per la tutela dei diritti delle partite Iva autonome: «Non pago più i contributi - dice - visto che non ho diritto a forme di welfare che mi permettano di sostenere adeguatamente questo particolare situazione che mi induce a lavorare sempre meno». Condizione che la costringe a veder ridotto il proprio giro d’affari , quindi ad avere minore capacità contributiva (da qui il mandato costituzionale sostanzialmente inattuato) che si ripercuote su eventuali forme di sostegno al reddito. «Contesto soprattutto questa forma di punizione dello Stato che colpisce noi partite Iva iscritte alla gestione separata Inps perché quando ti ammali non hai alcuna forma di sostegno dipendente. In più perdi progressivamente qualunque tutela perché l’indennità di malattia comunque valida fino a un massimo di 61 giorni all’anno si restringe progressivamente se non sei in grado di versare tasse e contributi in proporzione al tuo giro d’affari». Un cane che si morde la coda che trova impreparati anche i funzionari dello Stato: «Ho dovuto spiegare - rivendica Daniela - anche i miei più elementari diritti di malato, visto che al centralino Inps non conoscevano l’esistenza di una circolare che dava diritto alla riscossione di una piccola indennità di degenza ospedaliera».
La petizione
L’esito di questa battaglia di Daniela sta portando però a una vera e propria mobilitazione collettiva rappresentata simbolicamente da una petizione Acta rivolta al governo («Perché le richieste sono squisitamente politiche», dice Anna Soru, presidente di Acta). Petizione che ha raccolto già 50mila firme con la quale si chiedono quattro cose: 1) l’ampliamento del periodo di tutela oltre gli attuali 61 giorni per le malattie più gravi e lunghe; 2) la ridefinizione delle indennità su valori che siano effettivamente sostitutivi del redditi e che prendano in considerazione gli ultimi imponibili dichiarati; 3) L’equiparazione della degenza ospedaliera a quella ospedalizzata nei casi di terapie invasive, come la chemioterapia; 4) La copertura di tali periodi di assenza dal lavoro con i versamenti di contributi pensionistici figurativi. Richieste a cui Daniela aggiunge quella di “una moratoria” sui contributi in caso di malattia, come avviene per le forme di previdenza complementare. Nell’attesa Acta ha lanciato una campagna di raccolta fondi per sostenere Daniela in un’eventuale causa legale con l’Inps e per il pagamento degli avvisi di mora per i contributi non corrisposti quantificabili nella misura del 10% rispetto al montante non versato.

Corriere della Sera 18.07.14

mercoledì 16 luglio 2014

Il pasticcio della Camere di commercio Il fatto Quotidiano 16.07.14

http://www.confcommercio.it/documents/10180/5006952/Rassegna+del+16+luglio+2014/a42fdf3e-c3aa-4ab4-a613-b528dc9c0c89