lunedì 1 agosto 2011

Lezioni di austerità da De Nicola a Ciampi

di Filippo Ceccarelli La Repubblica 31.07.2011


SEMBRA incredibile al giorno d' oggi, ma in Italia c' è stato un tempo in cui il potere non aveva bisogno di impartire lezioni di austerità. Era certo un dato naturale, se si vuole anche una triste necessità. ERA comunque una causa di forza maggiore, i disastri della guerra e le sofferenze patite da tanti cittadini sconsigliavano mega-staff, super-stipendi, iper-rimborsi, ultra-agevolazioni previdenzialie sanitarie, abitazioni deluxe, distribuzioni massive di Rolex e gitarelle in elicottero. Ma forse è arrivata l' ora di riconoscere che c' era, nell' esempio dei vecchi padri fondatori della Repubblica,e poi anche nella seconda generazione, qualcosa cheè andato irrimediabilmente perduto, e che mai come in questi giorni sarebbe ingiusto bollare come banale o fanatico pauperismo. E allora, tanto per rimanere al vertice delle istituzioni va detto che certe sere, nella sede provvisoria della Presidenza della Repubblica a Palazzo Giustiniani, Enrico De Nicola arrivò a cuocersi da solo due uova al tegamino, come un povero impiegato, scapolo per giunta. I membri del governo Bonomi, d' altra parte, si erano abituati a mangiare tutti insieme: il cameriere passava con un vassoio di polpette e nell' atto di servirle si chinava intimando con rispettosa fermezza: «Due, signor ministro». Alcuni leader tendevano persino a digiunare: «Non è il caso che il compagno Togliatti - disse Stalin e verbalizzò Secchia - si comporti come un asceta». E se i parlamentari della Costituente ottennero quale agognato benefit la tessera per girare gratis in autobus per Roma, un complesso sistema di turni consentì ad alcuni fortunati di prendere addirittura posto in un palco al teatro dell' Opera. Era il tempo aspro,è vero, delle grandi passioni ideologiche. E degli scontri in Parlamento e in piazza, anche sanguinosi. Eppure, una volta arrivato al Quirinale Luigi Einaudi, nei cui fantastici diari si trovano puntuali annotazioni riguardo alla quantità di uova prodotte dalle galline di famiglia, la leggenda luminosa di quella remota frugalità si rispecchia nell' apologo della pera che alla fine di un pasto il Capo dello Stato cominciò a osservare sospirando: «Per me è troppo grande: c' è qualcuno che vuole dividerla con me?». E viene da pensare agli sforzi dell' oggi, non solo alla benemerita iniziativa del Quirinale, ma anche a quell' ombra di penitenza che pare di cogliere in questi giorni nella "Repubblica delle pere indivise", tagli al bilancio delle Camere, sindaci come Fassino o Pisapia che riducono il numero dei collaboratori. Un po' perché non ci sono più i soldi; un altro po' perché la Casta - e dire che il fortunato best-seller di Stella e Rizzo è ormai vecchio di quattro anni - comincia a percepire nel paese qualcosa che le fa paura. Per andare in America, De Gasperi si fece prestare il cappotto da Piccioni. Nenni se lo rivoltava. La Pira e Dossetti sostenevano che con i sandali «si arrivava prima in Paradiso». Ma anche in seguito, per lungo tempo, i potenti non pensarono affatto che la loro condizione si risolvesse in comodità, privilegi, "guide rosse" (come diceva Andreotti) e belle figure tendenti alle smargiassate. Ancora alla metà degli anni ' 70 alcuni deputati democristiani dormivano nei conventi e alla Casa del Pellegrino, e c' erano onorevoli del Pci che per risparmiare passavano la notte in treno. E Almirante dava ripetizioni; e Pertini, di tasca sua, regalò un foulard alla mamma di Carter; e Ciampi pretendeva che i dirigenti di Bankitalia non girassero su automobili vistose; e Ugo La Malfa giunse a minacciare la crisi contro la tv a colori. A riprova che il buon esempio di solito è dato da chi nemmeno se ne rende conto, oppure arriva quando tutto sta sull' orlo del baratro, e l' unica speranza in questi casi è che non sia - come sembra oggi - troppo tardi.

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