domenica 26 febbraio 2012

Dipende da noi. Dissociarsi per riconciliarci

23 febbraio 2012 Gustavo Zagrebelsky http://www.libertaegiustizia.it

Nell’anno in corso, Libertà e Giustizia festeggerà i suoi dieci anni di vita. Faremo il bilancio del passato. Ma ora è urgente progettare l’avvenire e chiarire i nostri compiti, in continuità con l’impostazione originaria dell’Associazione. Si annunciano tempi nuovi e incerti per il nostro Paese. Speranza e preoccupazione s’intrecciano. Il nostro compito è capire le ragioni dell’una e dell’altra e agire di conseguenza, sapendo che la posta in gioco è alta.

1. Il “governo tecnico” è un segno dei tempi: tempi di debolezza della politica e d’inettitudine dei partiti politici. Tra di loro si deve distinguere ma certo, nell’insieme, in Italia il sistema politico e la sua “classe dirigente” hanno fallito, arretrando di fronte alle loro responsabilità. Il governo che oggi abbiamo è frutto dell’iniziativa del Presidente della Repubblica che ha esercitato una difficile supplenza in stato di necessità. LeG ha salutato con sollievo la svolta, anche perché non si dimentica il timore che le forzature costituzionali accumulate negli anni potessero, nel momento decisivo, fare massa e indurre qualcuno a tentare una forzatura finale.

2. Nello stallo della politica, l’ascesa della tecnica al governo è apparsa l’unica alternativa al disastro finanziario, economico e sociale. La dobbiamo accettare come pharmakon. Ma la medicina che guarisce può diventare il veleno che uccide. Dobbiamo sapere che un governo può essere tecnico nelle premesse, ma non nelle conseguenze delle sue azioni. Il nostro è tecnico-esecutivo per le decisioni rese necessarie dal malgoverno del passato e dalla pressione di eventi maturati altrove, in sedi democraticamente incontrollabili, ma è altamente politico per l’incidenza delle sue misure sulla vita dei cittadini. Dire “tecnico”, significa privare la politica della libertà. LeG, che ha in passato denunciato i pericoli del populismo, cioè della neutralizzazione e dell’occultamento della politica dietro pratiche di seduzione demagogica, non può ignorare che la tecnica esercita anch’essa una forza ideologica che può diventare anti-politica. Allora, quello che inizialmente è farmaco diventa veleno: senza politica, non ci può essere libertà e democrazia; senza democrazia, alla fine ci aspettano soluzioni basate non sul libero consenso ma sull’imposizione.

3. Che si tratti di medicina o di veleno, non sappiamo. Sappiamo invece che dipende da noi. LeG, associazione di cultura politica, ha sempre operato per la difesa della dignità della politica e, proprio per questo, ha denunciato i casi di svilimento, di corruzione e di asservimento a interessi privati, di chiusura corporativa e autodifesa di casta. Oggi, quando la distanza tra i cittadini e i partiti non è mai stata così grande, proprio oggi è urgente un’opera di riconciliazione nazionale con la politica. Forse, il maggiore tradimento perpetrato dalla nostra “classe dirigente” nei confronti della democrazia, è consistito nell’aver reso la politica un’attività non solo non attrattiva ma addirittura repulsiva e di aver respinto nell’apatia soprattutto le generazioni più giovani, proprio quelle dove si trova la riserva potenziale di moralità e impegno politico di cui il nostro stanco Paese ha bisogno.

4. Siamo persuasi che la rifondazione della politica debba partire dalla sua decontaminazione dalla corruzione che, tra tutte le cause, è quella che più ha contribuito a imbrattarne la figura. Ormai, non si fanno più differenze, in una generale chiamata in correità. Gli scandali e le ruberie in un partito si riverberano in colpe di tutti i partiti. La percezione è che nel tempo si sia creato un sistema di connivenze e omertà, rotto occasionalmente solo dall’esterno, dalle inchieste giudiziarie o giornalistiche (da qui, la diffusa insofferenza per l’indipendenza della giustizia e dell’informazione). Questo sistema, prima che con le riforme legislative, può essere incrinato solo dall’interno. La connivenza può rompersi solo con la dissociazione e la denuncia. Le tante persone che, nei partiti e nella pubblica amministrazione avvertono la nobiltà della loro attività, escano allo scoperto, ripuliscano le loro stanze, si rifiutino di avallare, anche solo col silenzio, il degrado della politica. Acquisterebbero meriti e ne sarebbero ricompensati. LeG è convinta che questa sia la premessa e la condizione d’ogni riforma credibile della politica e della grande riconciliazione di cui abbiamo parlato. La legge sui partiti è una necessità di cui si parla da troppo tempo. Oggi, gli scandali quotidiani, l’hanno resa urgente. “Subito la legge ecc.”, si è detto. Ma possiamo crederci, se prima non cambiano coloro che la legge dovrebbero farla?

5. L’anno che ci separa dalle elezioni si annuncia ricco di propositi riformatori delle istituzioni. Non è una novità, ma l’auto-riforma si è dimostrata finora un’auto-illusione. Può essere che sia la volta buona per contrastare la caduta di consenso ed evitare lo “sciopero elettorale” che da diverse parti si minaccia. Ma si vorrebbe sapere con chiarezza che cosa ci viene promesso. Chiusura o apertura? L’alternativa è nelle cose, anzi nelle azioni. Non si può nasconderla con le parole. LeG ritiene di rappresentare un’elementare esigenza democratica, chiedendo di conoscere, in pubblico dibattito, se i contatti e gli accordi preliminari che si vanno stringendo tra partiti mirano a corazzare il sistema politico esistente, chiudendolo su se stesso, oppure se finalmente si avverte l’esigenza di aprirlo alle istanze diffuse dei cittadini, d’ogni ceto e d’ogni orientamento politico; se la “società politica” ritiene di fare a meno della tanto disprezzata “società civile”, oppure se ritiene di dover mettersi in discussione; se pensa che sia legittima la sua pretesa di difendersi dai controlli, oppure se sia disposta alla trasparenza e alla responsabilità; se il governo sia un problema di mera efficienza decisionale, oppure se la questione sia come, che cosa decidere e con quale consenso; se si vuole una democrazia decidente a scapito d’una democrazia partecipativa. Sono tante le domande che, finora, restano senza risposta.

6. Sulla riforma della legge elettorale: quale che sia il meccanismo prescelto, esso non deve essere pensato come strumento dei maggiori partiti e della loro dirigenza per “dividersi le spoglie”. Se c’è una legge nell’interesse primario dei cittadini, non dei politici, questa è proprio la legge elettorale. Finora, tutte le riforme, e forse anche quella in cantiere, hanno in comune l’essere concepite nell’interesse dei partiti che la fanno. LeGchiede che si ragioni di “giustizia elettorale” e non di “interessi elettorali”: si scelga dunque una formula chiara e coerente che metta i cittadini in condizione di controllare com’è utilizzato il loro voto e di entrare in rapporto con i loro rappresentanti, senza interessate distorsioni.

7. La riforma elettorale, anzi le elezioni con la nuova legge elettorale devono precedere ogni altra riforma. Come possiamo accettare che un parlamento tanto screditato qual è quello scaturito dalla legge elettorale attuale possa mettere mano alla Costituzione? I frutti sono il prodotto dell’albero. Nessuna speranza può esserci che i frutti siano buoni se l’albero è malato. In ogni caso, LeG chiede, come elementare esigenza, che le eventuali riforme possano essere sottoposte al controllo del corpo elettorale in un referendum di particolare significato: come difesa d’una democrazia aperta contro i possibili tentativi d’ulteriore involuzione autoreferenziale dell’attuale sistema politico.

8. LeG è un’associazione di cultura politica, ma non un’associazione politica, fiancheggiatrice di questo o quel partito. Essa si rivolge ai cittadini che vorrebbero amare la politica e, per questo, la desiderano più dignitosa e rispettata. Poiché in questo momento la società italiana è ricca di energie che chiedono rinnovamento e desiderano essere rappresentate, l’invito a tutti è a non disperdersi nella sterile protesta e a non dividersi nell’infecondo protagonismo, geloso di se stesso, ma a unire le forze perché il difficile momento che vive il nostro Paese possa essere superato nel segno della democrazia, della libertà e della giustizia.


domenica 12 febbraio 2012

SPR+ECO Lezione spettacolo Segrè&Cirri

http://www.youtube.com/watch?v=PahsH2OgeVs&feature=related

La "malapianta" di Tangentopoli "La corruzione è viva e lotta attorno a noi" di Alberto Statera

La Repubblica 09.09.12


Piercamillo Davigo, il giudice del pool Mani Pulite, non nasconde la delusione. "Credevamo di estirpare per sempre il malaffare. Invece siamo riusciti a selezionare una specie, come fanno i leoni con le zebre,: quella dei super corrotti"

MILANO. Migliaia di arresti, alcuni suicidi, l'eutanasia di cinque partiti storici al potere e di un'intera classe politica. Ma valeva davvero la pena la Norimberga della Prima Repubblica, se vent'anni dopo la corruzione si è moltiplicata con i suoi costi etici, sociali e monetari, il biasimo ha lasciato posto alla rassegnazione per la Scandalopoli del nuovo millennio, la percezione del disvalore è quasi scomparsa, molti reati sono stati di fatto aboliti e le condanne sono ormai un evento improbabile? "Le potrei dire" risponde Piercamillo Davigo, che di quella stagione fu uno dei protagonisti con il pool di Milano "che il pubblico ministero ha l'obbligo dell'azione penale ed è come un juke box: metti la moneta e, se la moneta è buona, deve suonare. Non sa se vince o se perde, né quali saranno le conseguenze delle sue azioni, perché non gli compete governare il mondo".

Ma lei, dottor Davigo, non si trincererà dietro la teoria del juke box perché vive in questo Paese, è consigliere di Cassazione, ma non solo un tecnico del diritto, e vede giorno per giorno l'emergere dei nuovi scandali, che talvolta fanno impallidire quelli scoperti da voi vent'anni fa?
"Sì, negli ultimi quindici anni tutto il mondo politico ha provveduto a restaurare un'illegalità diffusa, con una sorta di evoluzione della sottocultura criminale dei gruppi dominanti, che ha trovato il terreno di coltura in un sistema statuale arcaico che produce inefficienza. Fermo restando che la scomparsa di cinque partiti, di cui tre con più di cent'anni di storia, avvenne per lo scossone elettorale, non per mano di noi magistrati".

Cosa intende per sottocultura criminale?
"Che il mercato della corruzione ha prodotto un sistema di regole non scritte antagonistico rispetto a quello che disciplina il corretto esercizio della pubblica amministrazione, per cui il mercato legale tende via via ad adeguarsi all'illegalità imperante, riducendo anche la propensione alla denuncia".

Quindi in questi vent'anni si è evoluta la corruzione?
"Gli animali predatori migliorano le specie predate".

Prego, dottor Davigo?
"Gli organi preposti alla repressione penale, magistrati e forze di polizia, svolgono rispetto alla devianza criminale la funzione che in natura svolgono i predatori. I leoni, sbranando le zebre più lente e malaticce, migliorano la specie delle zebre, perché selezionano gli esemplari più veloci. E i leoni devono diventare a loro volta più veloci per prendere le zebre più scattanti".

Ma si vedono tante zebre e pochi leoni. Forse perché le zebre hanno cambiato tecniche, non più la mazzetta di banconote nella scatola di scarpe, ma la corruzione delle altre utilità: le vacanze in barca, l'appartamento regalato all'insaputa, la Ferrari sotto il portone, la caparra per un acquisto che non verrà mai perfezionato e resterà nelle tasche del falso venditore, l'escort nel cinque stelle lusso, le false consulenze, l'assunzione di mogli e amanti. Zebre sempre più veloci?
"Sì, abbiamo osservato nell'ultimo quindicennio un mutamento delle formule, ma non mi sembra che sia stato inventato qualcosa di geniale. Diciamo che la fattispecie ricorrente non è solo di uno che paga e uno che fa un favore, ma di gruppi di persone che si associano in comitati d'affari. E poi, durante l'inchiesta Mani pulite, la corruzione sistemica ha ricevuto colpi pesanti, che ne hanno fatto percepire il maggiore rischio penale. Di conseguenza, il costo delle tangenti è lievitato. Poi, nel quindicennio, il rischio è nuovamente diminuito. Certo, ora con la crisi economica...".

Che succede con la crisi economica?
"I momenti di grave crisi economica come l'attuale sono più favorevoli agli inquirenti perché i cittadini sono più arrabbiati e in quei momenti nessuno crede più alla storiella dei magistrati comunisti. Ma resta il fatto che, tra corruzione propria e impropria, c'è la non punibilità per la corruzione dei parlamentari. Al massimo c'è il finanziamento illecito, in contraddizione con le convenzioni internazionali. Persino per i parlamentari comprati e venduti, mercato cui abbiamo assistito recentemente, non si può fare niente".

Le sembra attendibile la stima della Corte dei conti che valuta in sessanta miliardi di euro l'anno il costo della corruzione?
"La professoressa americana Miriam Golden, dell'Università di California, ha definito un criterio per definire il costo della corruzione depurato dell'indice orografico, che vale naturalmente per strade e ferrovie. Ebbene, l'Alta Velocità è costata 9,2 milioni di euro a chilometro in Spagna, 10,1 in Francia e 73 milioni a chilometro nella tratta pianeggiante Torino- Milano. Tragga lei qualche conclusione, tenendo conto che non si tratta soltanto di ruberie, ma spesso anche di cosiddette opere compensative: i Comuni che chiedono e ottengono un raccordo o un asilo per l'infanzia. Tutto questo nella quasi generale indifferenza con un costo economico che non so valutare, ma enorme, per il Paese".

Indifferenza a causa della sottocultura criminale dei gruppi dominanti?
"Edwin Sutherland che, negli anni Trenta, creò un modello criminologico, sosteneva che è più pericoloso per la società il crimine dei colletti bianchi che il crimine comune. In Italia è definito ladro chi ruba una bicicletta o una mela al supermercato e soltanto disonesto chi fa la cresta su una fornitura. E infatti i corpi di polizia tendono a privilegiare l'attività di sicurezza pubblica rispetto a quella di polizia giudiziaria. Negli ultimi anni, si è fatto credere che il problema principale fosse la sicurezza. Ma non è così. Dai 1700 omicidi l'anno degli anni Novanta si è passati ai 700 nell'ultimo decennio, meno che in Francia e Gran Bretagna, che non hanno messo i soldati nelle strade, peraltro 500 per turno in tutta Italia contro i 50mila che presidiavano durante il sequestro Moro, ma che non impedirono che il corpo fosse lasciato in pieno centro a Roma. Tra l'altro, la metà degli omicidi avviene in contesto familiare: è più pericoloso stare a casa che andare in strada".

Ma la gente, dottor Davigo, percepisce lo scippo più che la casa pagata a Scajola o l'assessore di Formigoni che a Milano è accusato di trescare con la 'ndrangheta.
"Quanto possono scippare a una signora per la strada? Mille euro? Nel processo Parmalat c'erano 40mila parti civili, tra cui gente che ha perso tutti i risparmi della vita. Quanto ci mette uno scippatore a fare 40mila scippi? E comunque, come le ho detto, nei momenti di grave crisi economica i crimini dei colletti bianchi tornano, per fortuna, a suscitare biasimo".

L'era Berlusconi si è chiusa infatti - si spera per sempre - con un'orgia di scandali, le dimensioni di alcuni dei quali vanno ancora precisate. Le inchieste in corso per le varie P3, P4 e per le collusioni tra politica e criminalità organizzata porteranno alla estinzione dei partiti al potere, come avvenne negli anni Novanta, e magari alla fine della Seconda Repubblica, che già sbiadisce con il governo strano del professor Monti?
"Non sono un profeta, la fine dei partiti al potere non l'avevo prevista allora, e non sono in grado di prevederla oggi. Certo, in Italia non esiste regolamentazione dei partiti politici, veniamo dalla tradizione fascista del partito unico. Dentro i partiti può accadere di tutto, sono legibus soluti, tanto che ci sono casi in cui il capo della minoranza espulse la maggioranza (Giorgio La Malfa e Rocco Buttiglione). Non potrebbe avvenire neanche in una bocciofila. Quel che so è che allora rubavano tutti a man salva. Craxi disse più o meno, in Parlamento, che il finanziamento illegale riguardava tutti. Senza che nessuno si alzasse a dire: io no, io veramente non l'ho mai fatto".

Neanche il Pds, che si dice voi del pool milanese graziaste?
"A Milano sono finiti sotto processo appartenenti a tutti i partiti, compreso l'allora Pds".

Ma lo sa che, vista l'attuale classe politica, a molti viene quasi da rimpiangere Craxi, che perlomeno non era oggetto dell'esplicito dileggio internazionale, come è capitato al nostro penultimo presidente del Consiglio?
"Ma la seconda fila dei politici, che è balzata in prima fila dopo Mani pulite, l'hanno selezionata loro, non altri, e i risultati li abbiamo visti. Hanno contribuito a perpetuare un alto tasso di illegalità in un Paese che rischia di cadere nella rassegnazione e nel qualunquismo. Se le case abusive, per dirne una, venissero abbattute, nessuno le costruirebbe più".

Possibile davvero, nell'Italia alle vongole, come diceva Flaiano, o nell'Italia fellona del comandante della nave Costa Concordia?
"Mi viene in mente un aneddoto su Giovanni Giolitti che raccontava Indro Montanelli: il presidente del Consiglio italiano incontra l'ambasciatore di Grecia e lo subissa di attenzioni e di parole persino eccessivamente amichevoli e cordiali, tanto che qualcuno gli chiede il perché. E lui: dobbiamo essere molto grati alla Grecia, se no saremmo gli ultimi d'Europa".

Dei record, però, li abbiamo anche noi: per esempio, nell'arco di un ventennio sono state pronunciate due condanne definitive per corruzione nel distretto di Reggio Calabria, meno che in Finlandia, Paese tra i meno corrotti del mondo.
"Mi piacerebbe sapere chi sono quei due condannati. Anche se mi richiamo al monito di Salvatore Satta, secondo il quale il vero innocente non è colui che viene assolto, bensì colui che passa nella vita senza giudizio...".