lunedì 21 luglio 2014

«Non pago più i contributi all’Inps» La storia dell’ammalata Daniela

«Combatto da anni con il cancro che mi costringe a lavorare sempre meno. Io partita Iva senza sostegno mentre l’Inps continua a chiedermi i soldi per la pensione»

Dalla sua - dice - avrebbe persino la Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» (Art. 53). Contro di lei gioca invece un avviso di riscossione recapitatole dall’Inps che il 16 luglio le ha chiesto l’acconto contributivo per il 2014 a cui fa seguito il saldo (non pagato) per il 2013. L’assegno chiesto dallo Stato a Daniela Fregosi, partita Iva, consulente aziendale in ambito risorse umane e gestione del personale, è di 3.309 euro. Soldi che dovranno servire a garantirle in futuro una pensione. Peccato che - mai come stavolta - del futuro non v’è certezza, visto che Daniela ha una forma tumorale recidivante al seno (è in attesa di un’altra ecografia per la comparsa di uno strano nodulo) che si porta dietro come una convivente ingombrante da circa tre anni.
Lo sciopero contributivo
Così Daniela ha deciso di portare avanti una singolare protesta, lo «sciopero contributivo», che ha trovato una sponda convinta da parte di Acta, l’associazione dei consulenti del terziario, la più attiva per la tutela dei diritti delle partite Iva autonome: «Non pago più i contributi - dice - visto che non ho diritto a forme di welfare che mi permettano di sostenere adeguatamente questo particolare situazione che mi induce a lavorare sempre meno». Condizione che la costringe a veder ridotto il proprio giro d’affari , quindi ad avere minore capacità contributiva (da qui il mandato costituzionale sostanzialmente inattuato) che si ripercuote su eventuali forme di sostegno al reddito. «Contesto soprattutto questa forma di punizione dello Stato che colpisce noi partite Iva iscritte alla gestione separata Inps perché quando ti ammali non hai alcuna forma di sostegno dipendente. In più perdi progressivamente qualunque tutela perché l’indennità di malattia comunque valida fino a un massimo di 61 giorni all’anno si restringe progressivamente se non sei in grado di versare tasse e contributi in proporzione al tuo giro d’affari». Un cane che si morde la coda che trova impreparati anche i funzionari dello Stato: «Ho dovuto spiegare - rivendica Daniela - anche i miei più elementari diritti di malato, visto che al centralino Inps non conoscevano l’esistenza di una circolare che dava diritto alla riscossione di una piccola indennità di degenza ospedaliera».
La petizione
L’esito di questa battaglia di Daniela sta portando però a una vera e propria mobilitazione collettiva rappresentata simbolicamente da una petizione Acta rivolta al governo («Perché le richieste sono squisitamente politiche», dice Anna Soru, presidente di Acta). Petizione che ha raccolto già 50mila firme con la quale si chiedono quattro cose: 1) l’ampliamento del periodo di tutela oltre gli attuali 61 giorni per le malattie più gravi e lunghe; 2) la ridefinizione delle indennità su valori che siano effettivamente sostitutivi del redditi e che prendano in considerazione gli ultimi imponibili dichiarati; 3) L’equiparazione della degenza ospedaliera a quella ospedalizzata nei casi di terapie invasive, come la chemioterapia; 4) La copertura di tali periodi di assenza dal lavoro con i versamenti di contributi pensionistici figurativi. Richieste a cui Daniela aggiunge quella di “una moratoria” sui contributi in caso di malattia, come avviene per le forme di previdenza complementare. Nell’attesa Acta ha lanciato una campagna di raccolta fondi per sostenere Daniela in un’eventuale causa legale con l’Inps e per il pagamento degli avvisi di mora per i contributi non corrisposti quantificabili nella misura del 10% rispetto al montante non versato.

Corriere della Sera 18.07.14

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