mercoledì 9 luglio 2008

L’intelligenza sistemica: una possibile cura per i mali del management

No. 88/2008 (http://www.ticonzero.info)
di Martina Montauti

Secondo l’economista indiano Sumantra Ghoshal il management è stato per troppo tempo
affetto da due mali: la pretesa di conoscenza e l’ideologia radicata in una concezione
pessimistica del comportamento umano. Una possibile soluzione a questi mali è il concetto di
“intelligenza sistemica”, sviluppato negli ultimi anni presso l’Helsinki University of
Technology. Attraverso una visione più completa degli esseri umani e uno studio dei fenomeni
di complessità organizzata che non prescinde dalle scienze sociali, l’intelligenza sistemica
rappresenta una valida alternativa alla moda del business “etico” e una possibile prospettiva
teorica per ripensare concretamente il management, sia dal punto di vista della formazione che
degli assetti organizzativi.
Martina Montauti
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Poco prima di morire, l’economista indiano Sumantra Ghoshal pubblicò un articolo
dal titolo “Le cattive teorie manageriali ne stanno distruggendo le buone prassi”
invitando le comunità accademiche a “dare una nuova legittimità al pluralismo”,
ossia a ritrovare la matrice interdisciplinare delle teorie che sono alla base del
management. Tali teorie mutuano i loro concetti principali non soltanto da
matematica, statistica ed economia, ma anche dalla sociologia, dalla psicologia,
dalla storia.
1 – I mali del management: pretesa di conoscenza e ideologia
Questa necessità di revisione nasce dai numerosi scandali che, negli ultimi anni,
hanno coinvolto diverse aziende: l’esigenza di rinnovare la credibilità delle figure
manageriali, ha portato a fare dell’etica un nuovo vestito da indossare, ad uso e
consumo di corsi universitari sempre più numerosi e di un modo di fare business
sempre più “morale”.
Ma siamo sicuri che sia questa, la strada giusta da percorrere?
Sumantra Ghoshal identifica due principali cause del “cattivo” management:
1. Quella che il Nobel Friedrich Von Hayek chiamava “la pretesa di
conoscenza”;
2. Una visione parziale, basata per lo più sull’ideologia dominante
nell’Università di Chicago nelle ultime decadi del XX secolo.
L’economia, in quanto ramo delle scienze sociali, sembra aver dimenticato le sue
origini, assumendo come buone solo quelle teorie corroborate da modelli
matematici: il senso comune e l’etica sembrano essere stati per troppo tempo
sacrificati in nome di una sorta di senso di inferiorità nei confronti di discipline quali
ad esempio la fisica. Il punto, sottolinea Ghoshal, è che mentre le teorie della fisica
non influenzano gli effettivi accadimenti del mondo naturale (il fatto che prima di
Galileo si credesse che fosse il sole a ruotare intorno alla terra, non influiva
sull’effettiva rotazione della terra intorno al sole), le teorie economiche possono
influenzare i comportamenti di chi le studia e di chi le applica nella gestione di
un’azienda o nella vita al suo interno.
Le teorie che sono alla base del management, pretendendo di essere
elegantemente strutturate, stringenti, semplici, basate su assiomi verificabili, hanno
spesso ridotto quelli che Von Hayek chiama “fenomeni di complessità organizzata” a
verità inconfutabili, rappresentative in realtà di una visione parziale ed ideologica.
Ghoshal sostiene che la pretesa di conoscenza abbia portato nelle teorie
manageriali quel determinismo causale che nega un ruolo attivo alle scelte umane e
all’intenzionalità, mentre un’ideologia di matrice liberale ha portato a formulare
assunzioni pessimiste sulla natura umana e sulle stesse istituzioni. L’individualismo
sfrenato, l’uomo al centro del mondo e l’esasperazione dell’hobbesiano homo
homini lupus hanno trasformato le università in centri d’addestramento per future
giungle aziendali, nelle quali il coltello fra i denti e il fatalista business is business
hanno portato a quello che oggi riteniamo essere il contesto lavorativo.
Ghoshal ritiene che siano proprio le università a poter invertire la tendenza, perché
“se nulla è più pericoloso di una cattiva teoria”, soprattutto nelle scienze sociali,
“nulla è più pratico di una buona teoria”. Questo non implica che molte delle teorie
esistenti siano da buttare: desideri e speranze, sermoni e preghiere sono ancor più
pericolosi dei modelli matematici applicati arbitrariamente a fenomeni di
ticonzero No. 88/2008
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complessità organizzata. Sarebbe invece auspicabile un ritorno alla matrice
interdisciplinare dell’economia e del management, che usano i numeri per
circoscrivere dei problemi, senza dimenticare che questi possono essere studiati da
altre, molteplici prospettive debitrici di una dimensione razionale, ma anche
emotiva, dell’essere umano.
2 – Una cura possibile: l’intelligenza sistemica
Un approccio interessante ai fenomeni di complessità organizzata, chiamato
intelligenza sistemica, è stato formulato da Raimo P. Hämäläinen ed Esa Saarinen
(2004), professori all’Helsinki University of Technology.
“Con il concetto di Intelligenza Sistemica (IS), intendiamo un comportamento
intelligente all’interno di un sistema complesso che implica interazioni e feedback.
Una persona dotata di intelligenza sistemica interagisce, in modo ottimale e
produttivo, con quei meccanismi di feedback “olistici” che sono propri del suo
ambiente; si percepisce come parte di un intero, di cui comprende l’influenza su se
stessa, e percepisce la sua stessa influenza sull’intero. Dall’osservazione della sua
interdipendenza all’interno di un ambiente ad alto tasso di feedback, questa
persona è capace di agire con intelligenza.”
Mentre il pensiero sistemico rappresenta un modello mentale che può essere usato
in maniera strumentale, l’intelligenza sistemica è una caratteristica innata, che si
oppone ad una concezione pessimistica del comportamento umano e che
responsabilizza il singolo circa l’impatto delle sue azioni in situazioni e contesti
complessi.
Nel dare un’interpretazione al caso Enron, Matti Rantanen (2007) parla di un vero e
proprio “collasso sistemico” derivato dal prevalere delle convinzioni personali del
Presidente e Amministratore Delegato Ken Lay sul bene comune dell’azienda: in
sostanza l’essere dotati di intelligenza sistemica non vuol dire essere altruisti.
Spesso è per altruismo che, ad esempio, si cerca di mascherare l’errore di un
collega ma, a livello di sistema, questa scelta può avere un impatto negativo.
Inoltre, maggiori sono le responsabilità che si ricoprono all’interno di
un’organizzazione, maggiori potrebbero essere le ripercussioni derivanti da una
scelta sbagliata. Nel suo La saggezza della folla, il giornalista James Surowiecki
(2007) spiega come spesso siano proprio le decisioni collegiali a risultare più
vincenti di quelle individuali, per quanto queste ultime possano essere ponderate
razionalmente: ciò accade perché, “ovunque c’è un sistema, esiste la possibilità che
sia sempre più capace di arricchire, di ispirare, di dare vita a qualcosa.”
L’intelligenza sistemica, infatti, “si basa sul potenziale che appartiene ad ogni
singolo sistema”.
Il concetto di intelligenza sistemica si oppone all’individualismo di matrice liberale e
liberista che, secondo Ghoshal, ha influenzato molto le teorie formulate alla fine del
XX secolo nelle business school americane. Allo stesso tempo, esso rappresenta un
esempio di approccio accademico che non resta confinato in un’unica disciplina, rilegittimando
così quel pluralismo evocato dall’economista indiano. L’intelligenza
sistemica non è pessimista né fatalista, ma tende a responsabilizzare i singoli circa
il loro ruolo nelle organizzazioni, senza però fare appello a un’etica avulsa dal
sentire personale, perché dettata da un codice aziendale o dalla moda del
momento.
Martina Montauti
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Nel suo ultimo articolo Sumantra Ghoshal cita Amartya Sen (1998), secondo il
quale:
“Nel considerare la possibilità di una spiegazione prudente della condotta morale,
non dovremmo cadere nella trappola di presumere che l’assunzione del puro
interesse egoistico sia, in ogni senso, più elementare dell’assunzione di altri valori.
Le preoccupazioni morali o sociali possono essere altrettanto elementari”
3 – Prospettive per il management di domani
Una cura possibile per i mali del management identificati precedentemente
potrebbe dunque essere rappresentata dal concetto di intelligenza sistemica, la cui
applicazione pratica richiede un’azione davvero radicale che coinvolge sia il sistema
della formazione che l’assetto di una qualsiasi organizzazione. In sostanza non
basta aderire alle teorie della scuola di Helsinki come all’ennesima moda del
momento; occorrerebbe invece compiere uno sforzo ben più ampio , proponendo
interventi mirati a partire dai programmi di studio universitari.
L’intelligenza sistemica non può essere insegnata ma, essendo una caratteristica
innata, può essere “allenata” proprio come un qualsiasi muscolo del corpo; questo
potrebbe avvenire recuperando, sul piano della education, uno studio dell’economia
che ne conservi le caratteristiche interdisciplinari e che porti gli studenti a coltivare
il pensiero laterale, a considerare gli aspetti etici di situazioni per troppo tempo
ritenute solo funzionali al raggiungimento di un obiettivo, a comprendere lo spirito
di squadra non come una forma di buonismo aziendale ma come il catalizzatore di
un impegno individuale che porta a un risultato collettivo superiore.
Se da un lato, quindi, si potrebbe agire sulla formazione, dall’altro si potrebbe
lavorare sull’organizzazione, cercando di portare nel “piccolo” dell’azienda ciò che,
“in grande”, sta avvenendo a livello globale: l’affermarsi delle reti.
Trasformare gli organigrammi in reti e i dirigenti in supernodi, renderebbe
l’intelligenza sistemica qualcosa di più che un concetto, perché un contesto nel
quale non bisogna “salire” ma interagire diventa un posto nel quale è molto più
facile ritenersi parte di una collettività che emerge dalla connessione tra i singoli.
In un’organizzazione simile, per esempio, una dinamica comportamentale malata
sarebbe molto più evidente e sarebbe il sistema stesso che, non subendola dall’alto
ma essendo educata a riconoscerla al suo interno, potrebbe eliminarla o
riconfigurarla senza grossi sconvolgimenti (togliere una testa a un corpo non è
come togliere un nodo a una rete).
Il formare le persone in modo che abbiano diversi modi di guardare allo stesso
problema favorirebbe il dialogo e quindi, tornando a Surowiecki, la saggezza di una
folla che non è indistinta, ma interagisce in un contesto nel quale gli obiettivi sono
chiari e condivisi.
Il merito di Sumantra Ghoshal sta nell’aver lasciato, come in una sorta di
testamento, delle prospettive concrete perché quella del management non sia più
una pretesa di scienza, ma l’arte di gestire un modo nuovo di “fare insieme”; da
questo punto di vista l’idea di “sistema”, nel quale sviluppare la propria sensibilità
ed intelligenza a favore di un’intelligenza e di una sensibilità collettive, appare
centrale: nell’azienda, come anche nella società.
È infatti frutto di una visione sistemica quella importante connessione tra università
e organizzazioni che Ghoshal ricorda più volte e che un economista del calibro di
Richard K. Lester, Direttore dell’Industrial Performance Center al Massachussets
Institute of Technology, auspica per il rilancio delle economie locali in un contesto
globale.
ticonzero No. 88/2008
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La capacità di costruire reti di persone, di istituzioni, di aziende stesse, all’interno
delle quali coltivare quella capacità innata che è l’intelligenza sistemica, è forse la
sfida più grande che il management dovrà affrontare per curare i suoi stessi mali:
la preoccupazione “morale e sociale” di voler essere migliori può essere considerata
prioritaria, se non anche propedeutica, a quella opportunistica dell’avere successo?
BIBLIOGRAFIA
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HÄMÄLÄINEN R.P. AND SAARINEN E. 2005. Systems Intelligence Workshop at MIT, 5
December
HAYEK F.A. VON. 1974. The pretence of knowledge. Lecture in the memory of Alfred
Nobel, December 11
HOBBES T. 2001 Leviatano. Bompiani, Milano
LESTER, R.K. 2005. Universities, Innovation and the Competitiveness of Local
Economies: Summary Report from the Local Innovation Project – Phase I. In
Massachussets Institute of Technology IPC Working Papers Series, MIT-IPC-05-
010 (ALSO MIT-LIS-05-005)
LEWIN, K. 1945. The research centre for group dynamics at Massachussets Institute
of Technology. In Sociometry, 8:126-135
RANTANEN M. 2007. Reasons of Systemic Collapse in Enron. In Hämäläinen R.P and
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SAARINEN E. AND HÄMÄLÄINEN R.P. 2004. Systems Intelligence - Discovering a hidden
competence in human action and organizational life. Helsinki University of
Technology Systems Analysis Laboratory Research Reports A88
SEN A. 1998. Foreword. In A. Ben Ner & L. Putternam (Eds.), Economics, values and
organisation:xii. Cambridge: Cambridge University Press
SUROWIECKI J. 2007. La Saggezza della Folla. Fusi Orari

2 commenti:

Anonimo ha detto...

buona sera, sono Matteo Pio Melchionda,scrivo da Pescara e sono un laureando in "Economia e Management". Sono molto interessato al suo articolo qui esposto, n quanto tutta la mia tesi di laurea è incentrata sul pensiero di Ghoshal. Oltre al fatto che mi piacerebbe scambiare qualche opinione e qualche riflessione con Lei su questo argomento,mi può gentilmente inviare il file(paper) intero "Le cattive teorie manageriali distruggono le buone pratiche"(Sviluppo e Organizzazione 210, luglio-agosto 2005) . Le indico il mio indirizzo e mail mapyx@hotmail.com. Ringraziando per la gentilezza, porgo distinti saluti.

Anonimo ha detto...

buona sera, sono Matteo Pio Melchionda,scrivo da Pescara e sono un laureando in "Economia e Management". Sono molto interessato al suo articolo qui esposto, n quanto tutta la mia tesi di laurea è incentrata sul pensiero di Ghoshal. Oltre al fatto che mi piacerebbe scambiare qualche opinione e qualche riflessione con Lei su questo argomento,mi può gentilmente inviare il file(paper) intero "Le cattive teorie manageriali distruggono le buone pratiche"(Sviluppo e Organizzazione 210, luglio-agosto 2005) . Le indico il mio indirizzo e mail mapyx@hotmail.com. Ringraziando per la gentilezza, porgo distinti saluti.