martedì 28 dicembre 2010

Amartya Sen: oltre la “dittatura” del Pil

di Barbara Costantini, Rivista Econerre 5-2010

Amartya Sen, professore emerito all’Università di Harvard e Premio Nobel per l’economia
nel 1998, ha tenuto la conferenza inaugurale della IX edizione del Programma internazionale
di sviluppo delle competenze economiche e manageriali, organizzato dal Ctc (Competence training center – Centro di formazione manageriale e gestione d’impresa) della Camera
di commercio di Bologna. La lectio magistralis – ricca e densa del pensiero dell’economista indiano,impegnato da anni a sviluppare temi legati al welfare e alla lotta contro la povertà e la disuguaglianza – ha posto al centro alcune valutazioni relative al Pil, un indicatore non idoneo, ha spiegato l’economista, per misurare un welfare sostenibile. Già membro – insieme a Joseph Stiglitz, Jean Paul Fitoussi e altri eminenti economisti – della Commissione voluta dal presidentefrancese Nicolas Sarkozy con l’obiettivo di verificare i limiti del PIL come indicatore delle prestazioni economiche e del progresso sociale, Sen, riprendendo una tesi già sviluppata
a partire dagli anni Ottanta, ha spiegato come il Pil dovrebbe essere affiancato da considerazioni in termini di ricchezza economica, felicità- utilità e capacità-libertà, per riuscire a misurare gli standard di vita delle persone. Anzitutto, secondo il responso della Commissione, il livello di benessere deve essere misurato sulla base della ricchezza economica. Quindi lo standard di vita, da rilevarsi anche e soprattutto in base alla felicità delle persone. Infine la misurazione del
benessere, che deve essere calcolata tenendo in considerazione la capacità (capability) e la libertà degli individui. Personale – e in parte sganciato da quello della stessa Commissione – risulta il pensiero dell’economista indiano. L’utilizzo della ricchezza economica come indicatore – ha rilevato – non tiene conto di diversi aspetti cruciali. Innanzitutto, a parità di ricchezza, le persone possono avere caratteristiche diverse, tali per cui hanno bisogno di sostenere spese maggiori (pensiamo alle persone disabili o con handicap). Pertanto, individui con differenti caratteristiche
avranno differenti capacità di trasformare reddito o ricchezza in benessere. Da queste differenze – che come tali non possono essere ignorate – si passa alla considerazione delle condizioni
ambientali, indipendenti dal reddito, che possono avere effetti importanti sulla qualità della vita (ad esempio climi particolari e relativi effetti su determinati territori). Infine, anche il clima sociale ha un notevole peso sulla quotidianità delle persone (per esempio la possibilità o
meno di partecipare alla vita pubblica e politica). Circa la felicità, Sen ricorda poi come-questa sia spesso considerata come il solo criterio per valutare la società e le relative politiche d’intervento pubblico. L’utilità viene definita come felicità e la seconda è valutata come soddisfacimento dei desideri. Una parte di economisti sostiene che non si può utilizzare la felicità come misura di benessere, perché ritiene impossibile la comparazione fra utilità di persone distinte. In realtà, il
professore indiano – che ritiene invece possibile un ordinamento fra utilità – va oltre il criterio matematico e pone un forte accento sul tema delle libertà, intese come opportunità sostanziali (libertà negative e positive) e diritti umani. Inoltre, dimenticare questi ultimi elementi (o meglio
valori) porterebbe a valutazioni distorte della realtà: persone che vivono costantemente in condizioni di deprivazione imparano ad adattarsi alla loro vita per rendersela tollerabile,
arrivando a smettere di desiderare o sperare in un cambiamento della loro condizione. Se giudicassimo il benessere di queste persone solo sulla base della loro felicità
avremmo un quadro distorto del reale svantaggio nei loro standard di vita.
Infine le fondamenta dell’approccio delle capacità (capabilities) – che ha radici lontane nelle nozioni filosofiche di giustizia sociale – ha come focus gli obiettivi che ogni persona si dà, insieme al rispetto delle abilità personali per raggiungere gli stessi, in base ad un proprio set di valori,
ossia, come ha detto lo stesso Sen, “la capacità e libertà di perseguire ciò che desideriamo”, o la risposta alla domanda “di cosa abbiamo bisogno per vivere?”. Una terza via, in sostanza, che pone l’attenzione sulla capacità come libertà, invece che come standard di vita, e che dovrebbe aiutare i governanti a far luce oltre il Pil


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