martedì 28 dicembre 2010

Quando c’è incertezza Bisogna sperimentare

di Barbara Costantini Rivista Econerre 6_2010

Il secondo appuntamento del Programma Internazionale di Sviluppo delle Competenze Economiche e Manageriali, organizzato dal Ctc (Centro di formazione manageriale e gestione d’impresa) della Camera di Commercio di Bologna, ha visto come ospite Gary Dushnitsky, professore associato di Impresa & Management alla London Business School e da anni coinvolto
in ricerche sui temi dell’ Innovazione e del Corporate Venture Capital. Il seminario ha preso le mosse da un focus sul ciclo di vita dell’industria che – a seconda dei settori – può durare cinque anni, come solo un mese ed è caratterizzato dai diversi step: fase di rottura o discontinuità;
nascita di un design dominante; innovazione incrementale; maturità e infine una nuova fase di rottura o discontinuità. La fase iniziale di shock può aprire uno spazio per l’entrata di nuove
imprese. Se è vero che momenti di discontinuità rappresentano chance d’investimento, è altrettanto vero – secondo Mr Dushnitsky – che il mercato è composto da segmenti molto
diversi per entità e bisogni. I primi acquirenti, ad esempio di prodotti tecnologici, saranno gli “innovatori”, che proveranno a “giocare” con il prodotto, mentre i “visionari” coglieranno le potenzialità del nuovo bene, immaginando anche nuove applicazioni. Il terzo segmento che
sostiene il nuovo business è quello dei “primi utilizzatori”, che sono pragmatici, con necessità urgente di avere soluzioni a problemi presenti e per i quali l’affidabilità e l’assistenza sono essenziali. Quest’ultimo segmento sembra essere il più promettente, dato che esprime un chiaro
bisogno ed è formato da clienti potenziali che si basano sulle opinioni di pari per decidere l’acquisto. Il professore suggerisce – quasi in controtendenza rispetto ai sostenitori dell’high-tech sempre e comunque – di focalizzare gli sforzi anche su una nicchia di mercato che, seppur meno
avanzata tecnologicamente, sia caratterizzata da una chiara e specifica esigenza a cui magari le imprese più grandi presenti sul mercato non hanno convenienza a rispondere. A riprova di ciò, il fatto che in diversi casi la tecnologia dominante è stata – anche per molti anni – quella meno
efficiente: sistema di videotape VHS (della JVC) vs. sistema Betamax della Sony, solo per fare un esempio notissimo e studiato da anni in ambito manageriale. Quali sono dunque le sfide per le
imprese? Innanzitutto operare in un ambiente con un tasso rapidissimo di innovazione e caratterizzato da elevata incertezza, non essendo nella maggior parte dei casi possibile quantificare a priori il ritorno dell’investimento. Dove c’è incertezza –
sostiene Gary Dushnitsky – la strategia più adatta è quella di sperimentare, prendendosi il tempo per realizzare esperimenti cumulativi, sostenendo la creatività espressa dai collaboratori
o – al limite – affidandosi al mercato esterno. Un esempio è rappresentato dalla piattaforma web InnoCentive (www.innocentive.com) dove – come in un brainstorming globale – la comunità imprenditoriale pone quesiti di varia natura (tecnici, marketing etc.) dietro il pagamento di ricompense monetarie e visibilità del vincitore ideatore. Un’altra fonte di approvvigionamento
esterno di know-how è rappresentato dal Corporate Venture Capital: società di investimento ad
hoc per la promozione di start up. Tali società agiscono al servizio della società capogruppo con l’obiettivo principale, fra gli altri, di mappare le innovazioni emergenti, aprire una finestra su nuove opportunità di mercato e migliorare il livello di innovazione del business esistente.
Restano da chiarire, secondo Dushnitsky, due aspetti critici o paradossi del Venture Capital: se la
sola motivazione del Capitalist è la ricompensa economica, c’è il rischio che molti progetti vengano scartati a priori; se, in secondo luogo, l’ambiente non consente la protezione
dell’innovazione tramite il deposito di brevetti, l’azienda innovatrice non godrà del vantaggio competitivo legato alle nuove scoperte. Molto saggiamente, per bilanciare questi rischi, il professore consiglia di mantenere sempre un ufficio R&S interno


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